massoneria, René Guénon, Tradizione, Simbolismo, Coomaraswamy, Spiritualità
Redazione
Abbiamo visto nei numeri immediatamente precedenti la necessità che l’individuo che aspiri raggiungere un risultato nel percorso iniziatico, presenti una forte Aspirazione spirituale o, secondo un’altra prospettiva, sia “chiamato” a percorrerlo (Vocazione), e possegga una Volontà chiaramente determinata. Tuttavia, per quanto eminenti siano nell’individuo queste qualità, tutto sarebbe vano se la Provvidenza non ordinasse le cose in vista del raggiungimento del fine ultimo dell’uomo.
Quest’ultima considerazione sulla Provvidenza ci sembra espressa chiaramente nella conclusione di un frammento essenziale scritto da Rene Guenon[1], che abbiamo richiamato invariabilmente nei nostri precedenti appuntamenti con i lettori:
« Si deve dunque […] parlare di qualcosa che è nascosto piuttosto che veramente perduto, poiché non è perduto per tutti e certuni lo posseggono ancora integralmente; e, se così è, altri hanno sempre la possibilità di ritrovarlo, purché lo cerchino come si conviene, vale a dire purché la loro intenzione sia diretta in tal guisa che, mediante le vibrazioni armoniche che essa risveglia secondo la legge delle “azioni e reazioni concordanti”[2], essa possa metterli in effettiva comunicazione spirituale con il centro supremo[3]. Questa direzione dell’intenzione ha d’altronde, in tutte le forme tradizionali, la sua rappresentazione simbolica; intendiamo parlare dell’orientazione rituale: essa, infatti, è propriamente la direzione verso un centro spirituale che, qualunque esso sia, è sempre un’immagine del vero “Centro del Mondo”[4]».
Al fine di inquadrare la realtà della Provvidenza e il suo rapporto con il Destino e il Libero Arbitrio dell’uomo, apparentemente d’incompatibilità, riproduciamo in questo numero due studi fondamentali sulla questione di René Guénon e Ananda K. Coomaraswamy; a seguire un breve testo dell’Emiro ‘Abd al-Qâdir e alcuni trattati di chiara influenza pitagorica come sono quelli di Giamblico, Sallustio, Boezio e Plotino, autori che, per essere Occidentali e quindi forse più vicino a noi, non hanno ricevuto l’attenzione che meritano. Inseriamo anche un estratto del trattato che San Bernardo dedicò espressamente all’argomento e, infine, riproduciamo un racconto popolare balcanico, Fatum, in cui lo stesso tema viene ripreso.
[1] R. Guénon, Le Roi du Monde, Éditions Traditionnelles, Paris, 1950, cap. VIII. Le note che si riferiscono alla citazione sono dello stesso Guénon.
[2] Quest’espressione è mutuata dalla dottrina taoista; d’altra parte, noi qui prendiamo la parola “intenzione” in un senso che è assai esattamente quello dell’arabo niyah, che abitualmente si traduce così, e questo senso è d’altronde conforme all’etimologia latina (da in-tendere, tendere verso).
[3] Quanto abbiamo appena detto permette d’interpretare in un senso molto preciso queste parole del Vangelo: «Cercate e troverete; chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto». – Ci si dovrà naturalmente riferire qui alle indicazioni che abbiamo già dato a proposito della “retta intenzione” e della “buona volontà”; e si potrà così completare agevolmente la spiegazione di questa formula: Pax in terra hominibus bonæ voluntatis.
[4] Nell’Islam, quest’orientazione (qiblah) è come la materializzazione, se così si può dire, dell’intenzione (niyah). L’orientazione delle chiese cristiane è un altro caso particolare che si riferisce essenzialmente alla stessa idea.
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